giovedì 28 aprile 2011

Ultimo treno

I colori della notte diluivano con le luci artificiali dei lampioni. Tutto sembrava finto, anche le stelle che lentamente scompaiono con il bagliore delle luci cittadine.
Charlot sbuffò fiato caldo sulle nocche raggomitolate a riccio per il gelo insinuatosi tra le ossa. Una sensazione di sollievo le permise di sgranare gli occhi fissando l’orologio della stazione.

Nello stesso istante la lancetta più lunga staccò un centimetro alla sua ora aggiungendo, così, un altro minuto alla storia - 23.47 - Solamente centottanta secondi la separavano dalla coincidenza con il destino. Tre, piccolissimi, minuti di silenzio prima dell’annuncio meccanico e del fischio graffiante del locomotore. Troppo per chi aspetta; troppo poco per chi deve decidere il futuro …

Charlot è giovane, decisamente bella. Capelli corvini che scivolano su spalle rotonde; alta più della media. E’ sempre stata così sin da piccola, quando le venivano inibiti i primi posti per evitare che ostacolasse la vista ai compagni. Pelle chiara a far da contorno ad occhi verde bottiglia. Gambe lunghe, lei, che disegnano una falcata decisa e leggera; quel passo che in tante occasioni le ha permesso di ridurre la distanza tra ieri e il domani. Che le ha permesso di tenere un ritmo insistente, caparbio, e le ha fatto superare ostacoli apparentemente insormontabili e fuggire da pericoli fortunatamente prevedibili.

Adesso è immobile e sembra uno di quei lampioni anonimi e algidi che illuminano senza riscaldare. Osserva la punta dei suoi stivali neri, lucidi, mentre riflettono il bordo del cappotto sfuocato per la rifrazione dovuta all’umidità. I suoi trent’anni le stanno incollati addosso come un abito preso a noleggio; come un costume di scena pronto a raccontare un personaggio differente dal suo. Vorrebbero ricordare un’altra età, fatta di caramelle, bambole nuove, sorrisi amorevoli, rossetti, gonne con i merletti, tacchi alti, borse colorate … invece …

Charlot lancia lo sguardo oltre i binari, supera la banchina opposta e continua al di là della siepe che contorna la stazione. I suoi occhi, adesso sembrano spenti, come fiaccole a cui viene meno l’ossigeno. Perdono quota gradualmente sino a scendere sul marciapiedi, superare la linea gialla del

pericolo e fermarsi sul luccichio delle rotaie. Metallo, freddo, come quello di una lama tagliente o la canna di un fucile ..

Sospira, ingoiando l’ultima saliva rimasta; un boccone amaro che precipita giù per la gola e si ferma sul cuore senza poter cadere oltre ..

Sente biascicare parole di latta dall’altoparlante, interrotte da un fischio ancora, relativamente, lontano. Quel suono le ricorda un pallone, un campo di calcio, una maglietta sudata, gente che urla … il suo vero nome … “Carlo..!”

E’ un attimo, perché il dolore può avere il sopravvento solamente per un attimo; poi bisogna rimuoverlo o perire per sempre. E lei ha sempre voluto vincere la battaglia con i sentimenti, con quelle emozioni che l’hanno in principio coinvolto … poi, travolta … convinta a riscrivere la storia, un destino, un intero codice genetico.

Lei così sicura di poter fare a meno di tutti, di una famiglia, degli amici, di quella parte di sé che non aveva mai sentito propria. Come un accento sbagliato sulla parola più bella, o uno scarabocchio infantile sul disegno dell’artista.

Aveva deciso in fretta di cambiare, di rinascere. Ed era partita da quel nome con un suono straniero per confondere i curiosi e non dimenticare sua madre che l’aveva scelto. Che corsa per guadagnare tempo; riconquistare ciò che aveva perso nella sua vita precedente. Riappropriarsi di ogni piccolo tassello per costruire la donna dei suoi sogni. Aveva trovato un lavoro, casa, un’auto nuova e gli amici … e poi l’amore. Quello che ti fa capire che sei viva, che sei nata per un progetto preciso, che niente al mondo può distruggere la tua felicità.

Si sentiva pronta a raccontarsi ad aprire quello scrigno segreto che da sempre conteneva le perle di quella vita così complicata, vissuta in difesa e per questo in solitudine. Era pronta per farvi entrare l’uomo giusto per lei, quello che non era mai riuscito ad essere e che adesso desiderava possedere in modo differente…. Quell’uomo che non seppe resistere alla paura dell’ignoto, di quella verità così pesante e coinvolgente, di una diversità - ..anormale! - disse.

Le parole possono uccidere più delle armi; possono sgretolare i sogni più del peggior risveglio. Charlot non seppe reagire al giudizio, come per le altre volte. Ebbe la forza di voltare le spalle e correre più lontano possibile, più veloce del dolore che sentiva arrivare da fuori sin dentro l’anima. Capiva che la sua vita non avrebbe avuto più alcun senso. Che non sarebbe servito cambiare ancora una volta, tentare di ricostruire, resistere, ricominciare. Un futuro possibile avrebbe raccontato lo stesso epilogo. Questa volta bisognava scioccare il destino; intraprendere una rotta contro vento improvvisa quanto definitiva …

Un nuovo fischio annunciò il sopraggiungere del locomotore con i fari grandi che lanciavano fiaccole di luce. Charlot chinò il capo abbassando lo sguardo abbagliato. Alzò il piede destro per completare quell’ultimo passo e sulla punta degli stivali riconobbe il suo volto smagrito dal freddo, dalla paura, dall’ansia per la scelta. Sentì stridere ruote e rotaie e i freni che avrebbero completato l’opera almeno un chilometro dopo la sua postazione… lo spazio giusto per una sentenza ..

Pensò a sua madre, che aveva sempre desiderato una figlia e che, a lei ancora ragazzo, diceva “..la vita non è solo tua ..ognuno di noi serve a qualcosa ..” E si ricordò delle carezze, delle caramelle, del profumo di bucato fresco e di una ninna nanna.

Il treno passò oltre decretando la fine del tempo utile per decidere e fermando la sua corsa con un tempo sincrono al singhiozzo che si spezzava nella gola di lei.

Charlot alzò lo sguardo ed i suoi occhi umidi rimbalzarono sul vetro del vagone. Il verde bottiglia aveva appena riacceso una fiammella alla notte e la vita ricominciava a reclamare il suo futuro.