giovedì 19 novembre 2009

Libertà di Pensiero


Il caldo decise, immantinente, di sciogliersi in un lacrimar di perle liquide.
Fu un attimo e dal cielo piovemmo in migliaia di virtuose gocce, decise ad irrigare ogni cosa e ciascuno. In picchiata, cieche agli ostacoli; spiccioli di un mare ricco ed invisibile che leggero sommerge.
Da subito ebbi la sensazione di poter arrivare prima delle altre… Io, così minuta, così uguale a tante altre.. Eppure, in me, cresceva la forza che nasce dalla paura: sarei piombata giù, in un abisso di universo senza possibilità di ritorno, senza rimpianti o ricordi. E prima che il giorno avesse aperto le sue braccia al sole mi sarei mischiata alle altre ed alla terra sconosciuta.
Era la trama, da sempre, scritta per me, per quelle rotondità trasparenti e lucide.
La velocità crebbe aumentando la certezza della fine e fu questo a rassegnare la corsa. Giù, e poi giù….
… Inattesa pausa….
Un ostacolo, imprevisto, fermò il vuoto disegnando un confine anticipato, una rete, un argine. Mi poggiai dondolando nell’incertezza del destino: il movimento rallentò sin quasi a fermarsi, in bilico. Trattenni il fiato, ad occhi chiusi, per non cedere alla vertigine e poi, lentamente, sentii il ventre gonfiarsi e pendere.
Piccoli strappi annunciavano l’arrivo delle mie sorelle, in ritardo, seconde alla mia primogenitura. Sentivo il corpo slabbrarsi e la tensione aumentava la fragilità. “Non sono fatta per rimanere immobile – pensai – la mia natura ha un sogno di perenne movimento. Così non adesso, no”.
In quel momento non avrei dovuto generare schegge arrotondate, perdendomi in frazioni di me stessa. Così spinsi in basso allontanando il filo. Qual scelta scriteriata accelerare il tuffo. Ogni mia parte fu complice felice!
Il limite invisibile tra l’equilibrio e il baratro racconta di coraggio, sogno, o semplice follia…. Così ripresi a correre. Ed è dolcissimo lasciarsi andare…

giovedì 5 novembre 2009

MAGDALENE e PAUL

Magdalene fissava lo sguardo sulla toilette del settecento e lo specchio rifletteva una vita inquieta, sottolineata da una tristezza tagliente. Magdalene leggeva sul suo volto ogni anno trascorso, ogni singolo secondo che aveva contribuito all’accumulo di tutto quel tempo dal giorno in cui era venuta fuori da sua madre. Si sentiva ancora bella eppure sapeva di non possedere più quel fascino acerbo di quando, l’estate, finita la scuola, girava per il paese vestita di una stoffa leggera e colorata e faceva voltare tutti gli uomini che si trovavano ad incrociare il passo con la sua falcata da gazzella. Sembrava un secolo fa. Eppure il calendario raccontava soltanto due lustri con in mezzo i peggiori anni bisestili che la storia potesse ricordare.
Magdalene affermava di non essere scaramantica, tuttavia non attraversava mai alla vista di un gatto nero, non passava sotto le scale e non usciva di casa se il 17 ed il venerdì si sposavano sulla stessa casella del calendario… Aveva le sue idee, le sue convinzioni costruite piano, pezzo dopo pezzo, con i mattoni dell’esperienza e delle delusioni. Così aveva brevettato un atteggiamento asfittico nei confronti della vita per rimanere al minimo e non esporsi a decisioni o confronti.
La perlustrazione dell’ovale del viso fu interrotta dall’ingresso in stanza di Paul. Alto, smunto, capello curatissimo che lasciava intravedere i primi segni di una calvizie incipiente, ancora ben nascosta dall’abilità nell’acconciarsi. Paul era diventato inespressivo da troppo tempo….. In verità, poco loquace lo era sempre stato; amante delle letture e della musica. Odiava le immagini in tv; “finte ed allucinanti” le definiva con sdegno. Adorava, invece, la fotografia di cui era diventato un cultore fine ed attento nei rari momenti di pausa lavorativa. Delle sue foto, in bianco e nero, amava il silenzio, cupo, grigio, ovattato ed invadente. Lo aiutava a rimanere slegato dalla realtà, dal quotidiano che bussava alla porta del suo animo cercando di scuotere, rianimare.
Paul era stato uno sportivo e ciò sembrava incredibile dopo una semplice osservazione del suo fisico. Bisognava perdervi del tempo: soffermarsi sulla definizione dei bicipiti, della spalla arrotondata che accompagnava lo sguardo sin sul collo ancora turgido e privo di rughe. Le gambe poi, non possedevano più l’energia della gioventù ma presentavano cosce allungate, sode e gemelli un po’ sfiatati ma ancora robusti e guizzanti. Paul gareggiava in piscina; 200 e 400 metri farfalla erano le sue specialità preferite “…perché il dolore vero lo senti quando devi unire resistenza e velocità!” raccontava ai ragazzi che approcciavano a questa disciplina.
Paul allora non immaginava per nulla cosa fosse il dolore vero.
All’ingresso di Paul la stanza sembrò restringersi e diventare piccola. Una sensazione più che constatazione, come se la presenza di entrambi non fosse più tollerata dalla geometria delle pareti e del soffitto. Non così un tempo….
Magdalene e Paul si erano sposati per amore – così raccontavano a tutti – per quel sentimento strano che fa tremare le gambe, addolcisce la voce inumidendo gli occhi e che non fa pensare ad altro se non all’amato. Sapevano d’essere una coppia perfetta… almeno così credevano ed erano convinti che il loro amore non sarebbe stato scalfito da niente e nessuno…mai.
Si erano conosciuti alle scuole superiori. Lui il campione, lei la studentessa modello. Paul destinato agli allori, previsioni di trionfi e records. Magdalene sarebbe diventata un luminare di qualche università e forse… chissà quale onorificenza. Quell’amore li aveva accompagnati per tutta la giovinezza e per la primavera della vita adulta, contrappuntando ogni attimo con cammei di stupore e dolcezza. Paul, dei due, era il più romantico. Non perdeva occasione per mostrare a tutti l’amore per quella donna.
Una volta, d’estate, dopo anni di fidanzamento, volle partire a sorpresa per raggiungerla in montagna. Decise che il treno sarebbe stato il fido destriero in grado di condurlo alla meta. Non era mai partito da solo. Prima dell’arrivo dovette scendere per attendere una coincidenza che sarebbe arrivata da lì a poco. In quella pausa forzata camminò freneticamente su è giù per la banchina pregustando l’incontro; fu così che si trovò ad urtare un tipo – mi scusi – disse – non fa nulla, sa che ore sono – rispose l’altro. Paul poggiò il bagaglio a terrà per voltare il polso nell’intento di controllare il suo orologio. Si sentì spinto nuovamente, questa volta in avanti. Non fece in tempo a mantenere l’equilibrio e a voltarsi per chiedere spiegazione che vide due uomini allontanarsi da lui, correndo. Uno dei due era il signore dell’informazione. D’istinto guardò a terra in cerca della valigia: scomparsa. Allora, la mano corse al taschino posteriore dei pantaloni guidata dall’ansia di trovarvi il portamonete … millesimi di secondo… più nulla!
Il freddo e lo sconforto si impadronirono della coscienza di Paul inginocchiandolo.
Durante tutto ciò il treno tanto atteso giunse alla banchina prevista, sostò e riparti lasciando nell’aria un fischio stridulo ed acuto. Paul rimase fermo, per un tempo indefinito, a terra.
Quando decise di ricominciare a pensare per scegliere cosa avrebbe fatto, la sua mente corse a Magdalene, il suo amore. Tutto sembrò tornare alla normalità. Quel pensiero cancellò immediatamente l’episodio increscioso di cui era stato protagonista. Doveva riprendere il viaggio.
La coincidenza successiva per il paesino in cui si trovava Magdalene sarebbe partita l’indomani. Non poteva attendere. 30 chilometri. 30.000 metri. Fece un conto velocissimo immaginando di poter camminare ad una frequenza di 60 passi al minuto. Le sue gambe snelle ed atletiche avrebbero aperto un compasso di circa 1 metro per volta. Quindi 3.600 passi in un’ora. Aveva bisogno di più di 8 ore che in considerazione di qualche piccola sosta sarebbero diventate almeno 9…. Uhh!! Lasciò sfuggire dalle labbra Paul in un soffio di stupore per l’impresa e per la lucidità con cui era stata vagliata tutta l’operazione.
Ricontrollò l’orologio. Il campanile della chiesetta accanto alla stazione fece rintoccare undici battiti. Sarebbe arrivato per cena…. Sarebbe arrivato…?!!
…Paul arrivò in tempo per la cena più gustosa, felice, e straordinaria a cui avesse mai partecipato. Mangiò del pane di farina nera macinata con la pietra, come una volta. Bevve del latte di capra, ed una fetta di formaggio profumatissimo.
Magdalene restò in silenzio per tutta la sera rapita dall’emozione provata per quella sorpresa. A fine cena sparecchiò la tavola, ripose piatti e bicchieri in un piccolo lavello della cucina e sedette davanti a Paul; in silenzio. Interminabile silenzio. Magdalene fissò Paul per un tempo lungo ma romanticissimo. Ridisegnò ogni tratto del contorno di quel viso velato dalla stanchezza per l’impresa riuscita. Raschiò la vista sulla barba incolta, risalì sulle tempia per soffermarsi su di un ricciolo arrampicato sul lato destro della testa del suo amore. Fissò per un attimo l’interno delle pupille nel tentativo di giungere sin dentro al cuore, ancora più a fondo di ciò che si potesse immaginare, all’interno di quel corpo stanco ma fremente di passione per lei.
Poi, si alzò, sollevò lo sguardo al cielo come se volesse interrogarlo, si avvicinò a Paul e pose un bacio morbidissimo sulle sue labbra. Un bacio caldo ed umido insieme; dolcissimo come i ciuffi di zucchero a velo comprato al lunapark, tuttavia salato come le boccate d’acqua marina che apparentemente dissetano il naufrago condannandolo subito dopo alla disidratazione.
Magdalene era su di lui avvolta da un alone di ingenuità e sensualità dirompente. Emanava un profumo aspro che ricordava la freschezza della brezza primaverile. Adesso avvolgeva il volto di Paul con le onde di quell’oceano di capelli che spesso mescolava con le sue dita.
“Se vorrai potremo sposarci quest’estate…!” dichiarò sussurrando a Paul che, nel frattempo la guardava attonito, ammutolito, ipnotizzato dalle movenze maliarde.
Si sposarono, ma non l’estate prevista bensì la susseguente perché erano tante le cose ancora da fare e decidere e Magdalene voleva che tutto fosse perfetto.
Anche la loro stanza aveva raccontato di un tempo in cui la perfezione del loro amore faceva invidia al mondo. In cui la sincronia dei gesti, la completezza degli amplessi, la pienezza del godimento avevano confermato ai corpi l’avvenuta unione di ciascuna di quelle metà complementari.
Non così adesso! Nella stanza il tempo si era fermato, immobile. E aveva smesso di raccontare, privo di fantasia e di ogni ragione.
Paul da un lato cercava un pigiama che gli stesse comodo e caldo. Madgalene dall’altro continuava imperterrita a compiere i riti attinenti alla toilettature personale.. Condividevano lo spazio non più il tempo né le emozioni. Le barriere alzate servivano oltre che a separare anche ad abortire qualunque tentativo di gestazione emotiva. Il silenzio glaciale faceva spazio ad una sterilità mentale, sentimentale.
Spensero la luce senza dirsi nulla; ciascuno conquistò la posizione preferita per agganciare la coscienza al traino della stanchezza e cadere preda di un sonno profondo ed ancora una volta inquieto. Il buio si diffuse denso all’interno della camera e ricoprì ogni cosa, anche il silenzio. Rimase solamente un piccolo spazio, sul settimanile ai piedi del letto, indenne da questo strano fenomeno di narcolessia generalizzata. Sopra l’ultimo cassetto un piccolo led indirizzava un raggio di luce leggerissima su di una immagine a colori.
Tanti colori macchiavano la carta fotografica delimitando un contorno familiare. Una sagoma si sarebbe intuita anche a distanza, perché il prevalere delle tonalità pastello, separava e distingueva una figura umana dal contorno indefinibile. Una bambina dai riccioli morbidi allungati ai lati di un ovale delicato, con occhi di cerbiatta, gote rosate leggermente paffute, naso sottile eretto su di una boccuccia distesa, chiusa. Un abitino di chiffon con stampati dei fiori trasparenti le copriva il torace lasciando libere le spalle arrotondate e le braccia sottili.
Gli occhi arrivavano per ultimi nell’osservazione analitica della foto. Perché quegli occhi, scuri, grandi, certamente lanciavano un duplice messaggio passando da una tenerezza disarmante ad una malinconia altrettanto inquietante.
La foto era retta da una cornice sobria, neutra e non raccontava compleanni oppure occasioni particolari. Mostrava una normalità anonima, un attimo rubato alla stessa vita, congelato…. Ma quegli occhi chiedevano attenzione…!
Il tempo, durante la notte, cammina ad una velocità dimezzata per chi si trovasse a rimanere sveglio senza farsi sopraffare dall’ansia della luce. Diversamente chi si trovasse costretto a cedere il passo alle lusinghe di Morfeo, allora incontrerebbe minuti dimezzati, addirittura svaniti preda della rincorsa verso l’alba del giorno nuovo.
I respiri nella stanza si contavano in modo irregolare ma con un’alternanza che regolamentava le inspirazioni con le eiezioni dell’aria accelerata dalla spirale dei turbinati. Magdalene e Paul rimanevano con le spalle affacciate su metà piazza di un materasso matrimoniale nettamente suddiviso dai centimetri interposti tra i corpi e che, gli stessi, mantenevano inconsciamente creando uno spazio ampio e definito.
La notte si avviava al solito epilogo monotono e l’alba avrebbe insinuato un’ipotesi di cambiamento velleitaria ed infondata.
D’un tratto Paul respirò più forte, un colpo di tosse sollevò le spalle dal letto facendo assumere al resto del corpo una posizione eretta. Paul adesso era sveglio e teneva lo sguardo fisso, avanti, sul settimanile, sulla foto….
Intanto il rumore aveva disturbato il sonno di Magdalene che stirò un braccio all’interno del letto andando ad appoggiarsi sul fianco di Paul. “Scusami…” biascicò con la cadenza di chi ancora rimane in dormiveglia, richiamando con prontezza il braccio verso altri lidi, cosciente d’aver osato qualcosa di non più ammesso o meglio legittimato dalla situazione.
Paul sembrò non accorgersi di ciò che gli accadeva intorno preso dall’osservazione spasmodica dell’immagine incorniciata. Anche Magdalene seguì lo sguardo dell’uomo sino a poggiarsi sulla foto. Restarono immobili, ipnotici, marmorei in quella posizione a sedia che li rendeva incapaci di grandi libertà. La malinconia si diffuse immediatamente fuoriuscendo dagli occhi di cerbiatta della bimba nella foto e contagiando i due sonnambuli redivivi. Come se una forza, un desiderio terzo, una richiesta silente passasse dall’immagine alla loro coscienza, al cuore, ma non con costrizione o arroganza bensì con tutta la dolcezza e l’amore possibili.
Fu allora che, per la prima volta dopo tanto tempo, le due menti si ritrovarono in sintonia. Sincronismo di pensiero, una corrispondenza emozionale. L’immagine stampata in foto si materializzò nei ricordi di entrambi e fece rivedere un trailer che raccontava di una famiglia felice, un coppia innamorata di sé e del frutto di quell’amore. Come se due rotaie, finalmente ritornassero a viaggiare appaiate, mirando alla stessa direzione allo stesso obiettivo finale.
Ciascuno sentì, per un attimo, il suono della voce della bimba che li chiamava e sorrideva... Provarono a ricordarne il nome, quasi cancellato dallo strazio dell’assenza. Venne fuori un grido strozzato, un singulto, un vomito di passato crudele ed assassino …
“Amore…!”
Era questo il nome che avevano dato a loro figlia…loro… unica!
Il sangue ricominciò a bollire pompato dal cuore impazzito di ognuno. Ed era come se passasse da un corpo all’altro accorciando la distanza creata in tutto quel tempo. Fu chiara la sensazione di contatto, di calore; la diffidenza che cominciava a sciogliersi e lo spazio che si riappropriava di contenuto. Voltarono lo sguardo nello stesso istante, uguali così tanto da non poter dire nulla rimanendo stupiti di quella immediatezza. Gli occhi si incrociarono e nel luccichio salato dell’iride, riconobbero la metà mancante quella che, in passato riconosciuta, era rimasta indietro silenziosa, per troppo tempo.
Un velo di pudore fece scivolare lo sguardo di Paul lungo il collo di Magdalene sin verso i fianchi ed infiltrarsi tra le coltri scarmigliate come i riccioli di lei. Magdalene posò nuovamente lo sguardo sulla foto.
Una clessidra invisibile fece scendere sabbia e pazienza lungo il piccolo foro che conduce al futuro. Paul alzò lo sguardo incrontrando gli occhi di Magdalene su quelli della bimba nella foto. Non fu traguardo bensì punto di partenza. Le dita di Magdalene scivolarono veloci sulle lenzuola di seta sino a raggiungere la mano di Paul. Sfiorarono quelle unghia leggermente ruvide di mani lavoratrici e poco dedite alla cura. Magdalene sospirò; Paul contrasse i muscoli della guancia sinistra in un timido accenno di sorriso.
Le dita si intrecciarono come rami sapientemente guidati nella costruzione del nido e da quell’incrocio sprigionò una forza di novità, una fiamma di risveglio. Bisognava dar legna, non permettere che quel fuoco potesse rimanere prigioniero della cenere dei ricordi.Intanto l’alba annunciava un nuovo giorno ed il futuro disegnava una rinnovata storia.

martedì 3 novembre 2009

Perché un blog...?!

...per dare voce a quella parte di me che rimane indietro, che non si mostra se non di sfuggita, in silenzio...
Ecco il perché del titolo. Vorrei poter dare voce a quel silenzio interiore, rumoroso, che dialoga con se stesso e con l'universo; che sa cogliere l'implicito ed il non detto. Un silenzio che usa vocaboli nuovi, nuovi concetti e che solletica le emozioni per generare non una risata sguaiata bensì un sorriso.
Vorrei che questo blog potesse essere un luogo d'incontro tra la mente ed il cuore. Un posto dove star bene quando fuori piove o quando la bufera della vita agita l'animo.
Per questo scrivo.