sabato 16 gennaio 2010

La mano


Ti vidi e riconobbi il segno…
Il cuore mi parlò dei tuoi occhi trasparenti e acuti. E li guardai ammaliato e volli perdermi per ritrovarti ancora nei meandri della mia mente che pensa storie irrealizzabili, che sogna vite raggiungibili. E questa volta seppi trovare le parole per dimezzare la distanza, per stendere sul silenzio un ponte vacillante ed insicuro dal quale puoi cadere oppure trovare la salvezza.
La bocca tua si aprì per alitare un breve, minuscolo scampolo di vita. Ed io restai ammaliato, assorto in quell’abisso che raccontava mondi lontani eppure vicinissimi.
Chiamai il tuo nome usando il miele e l’oro per colorare il suono della voce con dolci consonanti e preziosissime vocali. Restasti immobile, assorta nel tuo mondo a cui bussavo estraneo. Così l’attesa e l’emozione tesserono insieme un filo di valore col quale ricucire i pezzi del mio cuore che si espandeva incauto.
Sembrasti una cometa che passa e che travolge lasciando solo luce riflessa nella memoria.
D’un tratto, senza avviso, le labbra tue si schiusero, ed io pensai, per dire. Ci fu silenzio spesso come una coltre candida, glaciale eppur bianchissimo. Poi il movimento seppe alzare gli angoli estremi di quella fessura carnosa pittata di porpora e amaranto e fu un sorriso timido.
Il segno tanto atteso tornava a incoraggiare il mio ardimento. Aprii un passo lungo verso il tuo confine ignoto e mi trovai ad un attimo da quelle labbra isola. Cercavo approdo morbido, anche se incerto e proibito; pertanto perlustravo le tue espressioni ingenue. Quando capii il messaggio, mi parve di svenire perché la risposta chiara parlava ai sentimenti. Perciò non badai più a nulla e il nulla riempì la mente di sogni, di stranezze, di immagini irreali.
Il coraggio è una follia che sfida anche il destino e nella sua incoscienza produce imprese folli con epiloghi trionfali. Ecco perché la storia racconta di eroi e non di matti.
Mentre viravo rotta tornando dal cuore alla coscienza sentii una piuma sfiorare le mie gote. Alzai lo sguardo e vidi le impronte tue disegnarmi il viso, per scrivermi un amore. Sorrisi. Sorridesti. E il mondo fu bellissimo perché per un istante parlava di noi due.
In quel silenzio statico chiesi la sua mano…!

martedì 12 gennaio 2010

Dancer


La danzatrice volteggiava, leggera, quasi impalpabile e i suoi respiri, percepiti appena, somigliavano al battere d'ali di una farfalla notturna. Con la mano sinistra roteava lo strascico del vestito di seta orientale regalatole dall'ultimo suo vero amore.... Ed il tempo segnava incessante un passo doble...
Malinconica come una mattina grigia e piovosa la sua cadenza mortificava la leggerezza ed il vigore con cui segnava le pose. Il fisico ancora asciutto e splendido, raccontava quanta parsimonia nel godere delle soddisfazioni che le dava la danza: rimaneva misurata, composta, senza che il roteare dei passi le potesse alterare la correttezza del vestito.
Elina, questo il nome che sapeva di leggerezza, viveva esclusivamente per la danza. Cominciava a credere che le cose vanno sperimentate per poi ottenere un rendiconto, una specie di esperienza documentale che possa fornire ulteriori chiarimenti.
Per questo aveva cominciato la sfida: iniziare a ballare per sapere cos’è il movimento…! Aveva deciso in fretta, vittima di una malattia che la costrinse immobile per interi mesi. I suoi muscoli non rispondevano ai comandi e lentamente cedevano spazio al sonno del fisico. Una specie di strana letargia che le intorpidiva i sensi surriscaldandole la pelle.
Malaria! Avevano diagnosticato i sapienti e la cura lentamente aveva riconquistato spazio per una salute ragionevole. Così, appena le forze le permisero di decidere per il corpo, stabilì che avrebbe ballato… per sempre!
Ricordava ogni nota delle musiche con cui si allietavano le feste nel vecchio salone della sua casa paterna, quando i fratelli, allora già uomini, invitavano le ragazze per le prime feste velatamente ingenue. Su quelle melodie costruiva, lentamente, le prime coreografie; tutte inventate e forse inguardabili. Ma per lei, quella danza era un rito di liberazione, l’unico modo che conosceva per entrare in sintonia con il mondo. Ballava e sapeva d’essere viva, in un posto vivo, e comprendeva che decidere è la metà imperiale dello sbagliare.
Quindi decise ed appena le fu possibile andò via da quella casa, concedendone la sua parte ai fratelli in luogo di alcuni abiti di sua madre e di un gioiello: un sottile semicerchio di brillantini che indossò ad ornamento della capigliatura crespa senza mai privarsene. Il luccichio delle pietre le ricordava l’infanzia, quando sua madre chinava la testa per porgerle le guance al fine di ottenere un bacio e la luce riflessa sulle pietre simulava un irradiante arcobaleno che s’infrangeva sulle onde della chioma di lei.
Quella luce le era rimasta negli occhi, per tutta l’adolescenza e anche oltre. Illuminava i suoi momenti bui, la notte della vita che, a volte, le faceva rimpiangere la scelta di non aver voluto creare una famiglia per seguire il suo amore: la danza…
Conosceva un solo compagno, Florian, il ballerino che da tredici anni le segnava i passi, dividendo con lei forme immaginarie, traiettorie dolci ed ossessionanti.
Florian le aveva promesso una fedeltà assoluta, superiore a quella che si giurano gli sposi. Non avrebbe mai danzato con nessun altro se non con lei. Questa decisione, ferma quanto inaspettata, aveva generato in Elina un turbamento forte: sentiva gratitudine e rammarico nei confronti di quell’uomo. Soprattutto il rammarico crucciava le sue notti. Sapeva che non avrebbe mai amato Florian e ciò le dispiaceva profondamente. Quel giuramento di fedeltà sportiva fatto dal suo compagno avrebbe meritato in contraccambio una promessa ancor più importante ma che necessitava non soltanto di volontà ma soprattutto di sentimento. Elina non sapeva mentire… neanche a se stessa.
Quella sera fu incredibile. La sala traboccava di occhi curiosi, puntati sul suo vestito di macramè. Il pavimento marmoreo rifletteva le luci dei lampadari ed il profumo dei cesti di fiori inebriava stordendo i sensi leggermente.
Florian prese la mano della danzatrice, poggiò un piccolissimo bacio sul dorso e sussurrò “.. è ora..!” Lei si voltò con lo sguardo assente preda della concentrazione e lo fissò interdetta come se non l’avesse mai scorto tra tanti altri. Poi il ticchettare della bacchetta del direttore indicò ai musicisti il tempo da dover seguire e la musica coprì il silenzio….
I passi avviarono da soli un movimento meccanico, perfettamente registrato, cominciando a scolpire le figure. Il pubblico trattenne il fiato per un tempo prolungato, come se quel mancato respiro potesse rinforzare il filo che legava ciascuno ai fianchi di Elina.
L’orchestra completò lo spartito ed il numero dei due danzatori rimase negli occhi ancora per altro tempo. Poi un applauso scrosciante… come un temporale tropicale che coglie di sorpresa e travolge.
Florian richiamò al centro della sala la sua compagna e la folla montò il brusio compiaciuto.
Elina tornò in sé dopo quel breve viaggio nel mondo del ballo, …nel suo mondo. Una piccola stella di sudore si staccò dalla fronte e scivolò al suolo. Lei, incurante, roteò il capo di 90 gradi cercando d’incrociare lo sguardo del compagno. Fu allora, dopo tredici anni, che scoprì un’espressione nuova: la tenerezza che quell’uomo provava per lei. Arrossì, sentendosi nuda davanti a quello sguardo innamorato.
Qualcuno dalla folla gridò “bis”…
Elina annuì con un sorriso appena accennato, voltò lo sguardo per incrociare gli occhi del compagno trovando il solito consenso incondizionato.
“… Vuoi ballare, ancora, con me….?!”