sabato 6 marzo 2010

Caterina

“..Caterina..?!”
Voltò appena il capo, socchiudendo gli occhi su di un passato che, adesso, vedeva allontanarsi rapidamente. Rimase immobile quell’attimo necessario a riconoscere l’estraneità della voce e le sembrò di rimanere in un sogno, ovattato e malinconico.
Quella stessa voce, anni prima, aveva sillabato il suo nome con un tono ben differente e forse con sentimenti diversi da quelli di adesso. Come sembravano distanti quei giorni…. E come era diversa lei: ieri una ragazza piena di illusioni oggi una donna…
“Caterina!” insistette la voce maschile.
Lei era ancora ferma, con le labbra schiuse, le palpebre rilassate sugli occhi, le narici leggermente divaricate per inspirare tutto il profumo di quella nuova libertà che, finalmente, sentiva dirompere nell’animo.
Un refolo di vento le scompose i capelli, lunghi, ramati, che profumavano di cannella e miele e che le contornavano il volto.
Dovette sembrargli bellissima; perché era veramente quanto di più bello ed affascinante avesse mai avuto nella sua vita arida.
Caterina l’aveva incontrato per caso, come quasi sempre accade quando il destino non trova niente di meglio da far succedere. E così sono gli uomini o le donne a farne le spese. E quella volta era toccato a lei innamorarsi di un uomo non evidentemente bello, certamente non brillante, non particolarmente simpatico, …ovviamente non innamorato quanto lei...
“Caterina..?!” lamentava sua madre, lasciando una lunga pausa di silenzio tra l’esclamazione del nome ed il sospiro che accompagnava un dolore sordo appena accennato dall’aggrottamento delle sopracciglia sulla fronte.
Perché volle sposarlo rimase un mistero per tutti e, forse, anche lei qualche volta ebbe a chiederselo nel grigiore delle tante notti trascorse da sola. A volte piangeva in preda ad un rimorso ingenuo, un senso di colpa che le faceva credere d’essere inadeguata, incapace per portare avanti quell’unione. Quello strano rapporto a due retrocedeva progressivamente come la schiuma dell’onda richiamata alla deriva dalla corrente.
“Caterina..!” sussurrava sua madre le rare volte che riusciva a circondarle il corpo con un tenero abbraccio nel tentativo di non farla sentire sola, abbandonata. La sua piccola era rimasta gatta, infida e scontrosa; solitaria come le gemme più preziose quando vengono incastonate sull’oro.
Dieci anni sono un tempo enorme se trascorsi in solitudine. Possono sembrare la versione terrena dell’infinito. Tanto era trascorso da quell’unico, primo giorno felice che ufficializzava la loro vita di coppia.
Delle volte avanzava una richiesta di spiegazione per l’atteggiamento distaccato di lui, ricevendone solamente scherno e falsità. L’assenza era motivata dal lavoro, gli impegni; e poi cosa avrebbe dovuto temere… tornava ogni volta a casa…!
Alla fine, lei esaurì le lacrime e smise di piangere. Decise di riconquistare il dominio sulla pelle e sul corpo e cominciò a coltivare la passione per il massaggio e la cosmetica. Riprese colore e tono e, finalmente, ebbe il coraggio di guardarsi allo specchio come faceva da ragazza. Scoprì che il tempo non aveva giocato lealmente con le rughe e che l’argento insidiava il rosso della chioma. Provò vergogna per non aver saputo custodire il dono della sua vita….
Così decise. Capì che era giunto il momento di fare chiarezza, raccogliendo ogni piccola cosa che potesse testimoniare la sua sofferenza, il suo desiderio di riscatto, tutto il suo mancato amore.
Ritrovò i diari di quando era ragazza e s’immerse in una lettura attenta ed emozionata. Assaporò una fase della sua vita in cui era stata veramente felice e ne ebbe nostalgia. Poi il desiderio di poter sperimentare nuovamente quelle emozioni prese il sopravvento e così la lettura fu più avida, più irrequieta e veloce. Sull’ultima pagina impiegò un tempo doppio rispetto a quello utilizzato per la lettura di tutti i suoi scritti. Doveva rallentare, per compiere pienamente la trasformazione necessaria alla sua catarsi più piena.
Una mattina si alzò dal letto, elettrizzata dalla notte insonne. Aveva meditato a lungo; progettato ogni gesto, passo, decisione che avrebbe compiuto da lì a poco. Voltò il capo verso l’altra metà del materasso rimasta ancora una volta inutilizzata. Scostò con un gesto secco coperta e lenzuola che l’avevano custodita nella notte ed inspirò con una forza ed una capienza sorprendenti. Voleva risucchiare in sé ogni delusione vissuta in quella stanza; ogni emozione che era stata partorita ed abbandonata. Non avrebbe lasciato niente di sé in quella casa.
Raccolse i vestiti, i suoi libri, dei fiori di silicone acquistati in un bazar e che le ricordavano la primavera, un cappello di lana, il video del matrimonio in cui aveva riso tanto per l’effetto dello spumante, la colonna sonora del film Mission ed una Bibbia. Li mise come meglio poté dentro una valigia di stoffa, come quelle usate negli anni trenta nelle pellicole ancora in bianco e nero.
Sino ad allora, non aveva mai cercato conforto nella fede. Non si riteneva realmente credente. O meglio non fortemente praticante, priva cioè di quella costanza nel mantenere un rapporto che permette alla conoscenza di trasformarsi in amicizia, stima, amore, … Così Dio era rimasto a guardarla da lontano, dall’altra stanza. Ed ogni volta che entrava nel luogo dove si trovava Caterina lei inconsciamente usciva allontanandosi di nuovo. Era stata una continua rincorsa che, forse, adesso vedeva il traguardo: una delle prime mete da raggiungere.
“Caterina…” si ripeté lentamente, quasi per incoraggiare la decisione intrapresa. Ormai sapeva come far compagnia a se stessa; da tempo non temeva la solitudine: era l’unica compagna fidata.
Lanciò uno sguardo distaccato alle pareti del salone, indietreggiando sino alla porta d’ingresso. Si fermò quando sentì il legno rimbalzare sulle spalle. Rimase un istante appoggiata con le braccia lunghe accanto ai fianchi e la mano destra che serrava i manici della valigia. Fece un cenno col capo, come un saluto, alla casa che l’aveva ospitata e della quale non era mai voluta essere padrona.
La mano sinistra ruotò la maniglia ed il primo tepore del nuovo giorno si mescolò con la frizzantezza dell’aria mattutina posandosi sulle guance carnose. Si colorarono subito accompagnate dalla punta del naso. Lì fuori, il mondo cominciava a muoversi e gli occhi delle abitazioni spalancavano le serrande.
Tre gradini la separavano dalla sua nuova vita. Tre gradini in discesa. Li contò con lo sguardo e pensò che fossero di buon auspicio per la perfezione del numero primo e perché potevano essere percorsi rapidamente e senza fatica.
Socchiuse gli occhi per lo scherzo di un timido raggio di sole riflesso sulla cromatura di un auto. Quell’attimo le presentò tutto il suo passato e le fece intravedere uno scampolo di futuro.
Fu risvegliata dal richiamo di una voce conosciuta “…Caterina, già fuori di casa..?!” le domandò suo marito. Gli sorrise, senza rancore.
Quella mattina era già fuori… per sempre!