“Il tempo è soltanto una convenzione!!” – sentenziò mio nonno poco prima di morire. Centotre anni, cuore e testa liberi dal peso dell’età; come se i primi cento non fossero stati una successione di mesi bensì di pochi, brevissimi giorni. Aveva voluto lasciare, a tutti noi, l’idea che la leggerezza può abbinarsi al decadimento fisico, all’insulto del tempo. E vi era riuscito, perché io l’ho sempre creduto giovane; pensato eterno e quindi immortale. Come un albero secolare che supera stagioni, decenni, sfiorando il millennio con i suoi germogli nuovi, quelli ancora verde acerbo, che profumano di campagna acida e riflettono la luce del sole in balia del vento insidiante.
Mi piaceva tenergli la mano, perché dal contatto con essa capivo quanta storia avesse percorso. Quella parte tradiva una condizione manifesta di vetustà … In quel punto la pelle era diventata sottile e scura, ricoperta da macchie diffuse. Le vene, ingrossate, poggiavano sul dorso come piccoli tubi violacei intenti a creare un canale tra il braccio e le dita, sprofondando nelle falangi rigonfie. Un disegno, una mappa di come la vita aveva intrecciato gli eventi, le esperienze.
Mi diceva “.. corri, corri, figlio mio … perché fintanto che corri la vita ti sorriderà ..”
Non capivo, esattamente, cosa volesse dire ma mi piaceva l’idea del movimento. Era vicina al mio modo d’essere. E così correvo, veloce, a piedi nudi, sui pattini, con la mia bicicletta rosso fuoco.
Quest’ultima divenne la compagna abituale perché quando m’inerpicavo sui suoi pedali sentivo una forza prorompente che, dalla punta dei piedi, passava su per le gambe, glutei, schiena ed arrivava alle spalle proiettate sul manubrio. Quell’arnese di alluminio, gomma ed aria aveva un potere catalizzante amplificando l’energia che si sviluppava nel mio corpo sino a farla diventare dirompente. Io e lei, fusi insieme. Eravamo una cosa unica ...
Qualcuno si accorse di quest’alchimia e cominciò ad osservarmi con curiosità crescente; ed aumentavano le domande che volevano conoscere, capire quel mistero anche a me ignoto. Io non chiedevo altro; bastava ciò che le mie fibre conoscevano nel profondo, che sperimentavano da tempo durante le passeggiate su due ruote.
Cominciai a correre sempre più spesso. Inforcavo la mia bici e pedalavo imparando a conoscere il senso dell’alternanza; bilanciando le due metà di me per renderle simmetriche e diseguali al tempo stesso. Una danza fatta d’istinto. Una lotta celebrata sul limite che separa l’impresa dal fallimento; giudice di me stesso, aguzzino e salvatore.
L’uomo delle domande si presentò come amico di mio nonno, lo stesso giorno del suo funerale e mi disse che dovevamo onorare quella memoria con un’impresa; qualcosa di straordinario, ai limiti del credibile e del possibile. “Devi vincere il tempo..!! - esclamò con la stessa enfasi con cui mio nonno mi parlava di quella convenzione umana .. - .. solamente tu puoi farlo. Tuo nonno, ormai, non può più.”
Fu allora che sentii, per la prima volta, una piccola lama di dolore tagliare il legame tra me e quella figura familiare che aveva accompagnato l’infanzia. Il freddo del distacco salì su per la schiena provocando una scossa proprio sulla nuca, sotto l’attaccatura dei capelli. Gli occhi sgranarono gli angoli, per un attimo, ed apparve la sua immagine, mio nonno, a ripetermi le frasi di sempre che finalmente comprendevo in pieno.
“Va bene – dissi – posso vincere ..” e così cominciò un periodo lungo e difficile, più di ogni percorso in salita, più di quanto pensassi. Tuttavia amavo andare in bici e l’obiettivo prefissato era ben chiaro alla mente ed alle gambe: battere il record su pista.
“Salirai sulla vetta del mondo – affermò, un giorno, l’uomo amico del nonno – e da lì potrai gridare a tutti quanto l’amavi ..” Le parole risuonarono a lungo, come un'eco che non riesce a trovare cassa di risonanza e rimane muto. Poi, passarono dalla testa al cuore e lì amplificarono tutto il rimpianto per non aver avuto prima un suono, per non esser mai state dette, prima.
Non ero il solo a correre. Anche il tempo procede spedito e senza soste. Così mi ritrovai presto di fronte al limite che avevo inseguito per mesi, sognato, ed oltre al quale volevo spingermi.
Lo sparo si allontanò dalla pistola e prima che le sinapsi trasmettessero il comando, istintivamente, la gamba destra forzò il pedale. Il via ..!! La macchina perfetta cominciava a roteare le sue leve generando movimento, velocità. Lo stupore della gente montava lentamente e l’adrenalina cresceva alterando battiti e respiro. Inanellai un giro su l’altro. Tutti perfetti. Mani salde sul manubrio, muscoli guizzanti, sguardo concentrato sul cronometro: quindici secondi sotto il record .. il sogno stava per avverarsi!
Il tempo si costruisce su tanti piccoli attimi, apparentemente insignificanti. Tuttavia l’inesatta successione di questi causa alterazioni tali da stravolgere gli eventi …
Quel viaggio onirico fu interrotto dal boato del pubblico quando la ruota anteriore, imboccata l’ultima curva, piegò irrimediabilmente sulla pista.
Il mio corpo ondeggiò prima di accasciarsi al suolo completando la corsa con una scivolata inarrestabile. Sentii bruciare l’orgoglio ancor prima della pelle. Il gelo, intorno, rendeva quel momento surreale ed irripetibile … ma non come avrei voluto.
Pensai a mio nonno alla sua sconfitta contro il tempo … alla mia. Un senso d’angoscia cominciò a reclamare spazio tra i pensieri in modo sempre più insistente. Provai ad opporre resistenza e fu l’ultimo attimo di lucidità a riportare alla mente la frase che ha dato senso alla mia vita rendendomi vincente, nonostante tutto.
“Il tempo è soltanto una convenzione!!”
Mi piaceva tenergli la mano, perché dal contatto con essa capivo quanta storia avesse percorso. Quella parte tradiva una condizione manifesta di vetustà … In quel punto la pelle era diventata sottile e scura, ricoperta da macchie diffuse. Le vene, ingrossate, poggiavano sul dorso come piccoli tubi violacei intenti a creare un canale tra il braccio e le dita, sprofondando nelle falangi rigonfie. Un disegno, una mappa di come la vita aveva intrecciato gli eventi, le esperienze.
Mi diceva “.. corri, corri, figlio mio … perché fintanto che corri la vita ti sorriderà ..”
Non capivo, esattamente, cosa volesse dire ma mi piaceva l’idea del movimento. Era vicina al mio modo d’essere. E così correvo, veloce, a piedi nudi, sui pattini, con la mia bicicletta rosso fuoco.
Quest’ultima divenne la compagna abituale perché quando m’inerpicavo sui suoi pedali sentivo una forza prorompente che, dalla punta dei piedi, passava su per le gambe, glutei, schiena ed arrivava alle spalle proiettate sul manubrio. Quell’arnese di alluminio, gomma ed aria aveva un potere catalizzante amplificando l’energia che si sviluppava nel mio corpo sino a farla diventare dirompente. Io e lei, fusi insieme. Eravamo una cosa unica ...
Qualcuno si accorse di quest’alchimia e cominciò ad osservarmi con curiosità crescente; ed aumentavano le domande che volevano conoscere, capire quel mistero anche a me ignoto. Io non chiedevo altro; bastava ciò che le mie fibre conoscevano nel profondo, che sperimentavano da tempo durante le passeggiate su due ruote.
Cominciai a correre sempre più spesso. Inforcavo la mia bici e pedalavo imparando a conoscere il senso dell’alternanza; bilanciando le due metà di me per renderle simmetriche e diseguali al tempo stesso. Una danza fatta d’istinto. Una lotta celebrata sul limite che separa l’impresa dal fallimento; giudice di me stesso, aguzzino e salvatore.
L’uomo delle domande si presentò come amico di mio nonno, lo stesso giorno del suo funerale e mi disse che dovevamo onorare quella memoria con un’impresa; qualcosa di straordinario, ai limiti del credibile e del possibile. “Devi vincere il tempo..!! - esclamò con la stessa enfasi con cui mio nonno mi parlava di quella convenzione umana .. - .. solamente tu puoi farlo. Tuo nonno, ormai, non può più.”
Fu allora che sentii, per la prima volta, una piccola lama di dolore tagliare il legame tra me e quella figura familiare che aveva accompagnato l’infanzia. Il freddo del distacco salì su per la schiena provocando una scossa proprio sulla nuca, sotto l’attaccatura dei capelli. Gli occhi sgranarono gli angoli, per un attimo, ed apparve la sua immagine, mio nonno, a ripetermi le frasi di sempre che finalmente comprendevo in pieno.
“Va bene – dissi – posso vincere ..” e così cominciò un periodo lungo e difficile, più di ogni percorso in salita, più di quanto pensassi. Tuttavia amavo andare in bici e l’obiettivo prefissato era ben chiaro alla mente ed alle gambe: battere il record su pista.
“Salirai sulla vetta del mondo – affermò, un giorno, l’uomo amico del nonno – e da lì potrai gridare a tutti quanto l’amavi ..” Le parole risuonarono a lungo, come un'eco che non riesce a trovare cassa di risonanza e rimane muto. Poi, passarono dalla testa al cuore e lì amplificarono tutto il rimpianto per non aver avuto prima un suono, per non esser mai state dette, prima.
Non ero il solo a correre. Anche il tempo procede spedito e senza soste. Così mi ritrovai presto di fronte al limite che avevo inseguito per mesi, sognato, ed oltre al quale volevo spingermi.
Lo sparo si allontanò dalla pistola e prima che le sinapsi trasmettessero il comando, istintivamente, la gamba destra forzò il pedale. Il via ..!! La macchina perfetta cominciava a roteare le sue leve generando movimento, velocità. Lo stupore della gente montava lentamente e l’adrenalina cresceva alterando battiti e respiro. Inanellai un giro su l’altro. Tutti perfetti. Mani salde sul manubrio, muscoli guizzanti, sguardo concentrato sul cronometro: quindici secondi sotto il record .. il sogno stava per avverarsi!
Il tempo si costruisce su tanti piccoli attimi, apparentemente insignificanti. Tuttavia l’inesatta successione di questi causa alterazioni tali da stravolgere gli eventi …
Quel viaggio onirico fu interrotto dal boato del pubblico quando la ruota anteriore, imboccata l’ultima curva, piegò irrimediabilmente sulla pista.
Il mio corpo ondeggiò prima di accasciarsi al suolo completando la corsa con una scivolata inarrestabile. Sentii bruciare l’orgoglio ancor prima della pelle. Il gelo, intorno, rendeva quel momento surreale ed irripetibile … ma non come avrei voluto.
Pensai a mio nonno alla sua sconfitta contro il tempo … alla mia. Un senso d’angoscia cominciò a reclamare spazio tra i pensieri in modo sempre più insistente. Provai ad opporre resistenza e fu l’ultimo attimo di lucidità a riportare alla mente la frase che ha dato senso alla mia vita rendendomi vincente, nonostante tutto.
“Il tempo è soltanto una convenzione!!”